Ci sono svariati modi di comunicare un tema, un fatto o un punto di vista. C’è chi si impone sugli altri, dall’alto delle sue competenze, mostrando un netto distacco tra coloro che sanno, e coloro che devono apprendere. C’è chi, invece, si pone sullo stesso piano degli altri, cosciente di essere fallibile, instaurando un dialogo tra pari con gli interlocutori. È scientificamente dimostrato che, a livello squisitamente comunicativo (e quindi divulgativo), il primo approccio è fallace, in errore, figlio di un modo di intendere la comunicazione del sapere retrogrado e oramai sorpassato, soprattutto nell’era dei social, dove tatto e controllo diventano ben più importanti delle capacità e delle competenze. Riguardo ai modi e agli approcci al dialogo, spesso su Deeplay.it mi sono scagliato contro i videogiocatori e contro l’industria, per non parlare della critica e degli appassionati che lavorano su YouTube. Bisogna però ricordare che i primi a dover fare un passo avanti verso un miglioramento del dibattito videoludico sono proprio coloro che, convinti di detenere le chiavi del sapere mondiale, trattano l’altro come un impuro, un ignorante, una bestia priva d’intelletto.
Al riguardo, riprendo un concetto caro alla psicologia per sottolineare alcuni modi d’essere degli interpreti di un classico dibattito videoludico, che sia sui social o nei forum: «L’effetto Dunning-Kruger è una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti tendono a sopravvalutarsi, giudicando, a torto, le proprie abilità come superiori alla media.
Questa distorsione viene attribuita all’incapacità metacognitiva, da parte di chi non è esperto in una materia, di riconoscere i propri limiti ed errori. Il possesso di una reale competenza, al contrario, può produrre la distorsione inversa, con un’affievolita percezione della propria competenza e una diminuzione della fiducia in se stessi, poiché individui competenti sarebbero portati a vedere negli altri un grado di comprensione equivalente al proprio. David Dunning e Justin Kruger, della Cornell University, hanno tratto la conclusione che: “l’errore di valutazione dell’incompetente deriva da un giudizio errato sul proprio conto, mentre quello di chi è altamente competente deriva da un equivoco sul conto degli altri”».
Cosa c’entra tutto questo con il dibattito videoludico? È evidente a chiunque viva con una certa regolarità i social che la prima parte dello schema precedente si applica non solo al videogioco, ma a ogni branca dello scibile umano che sia discussa su Facebook o su altri servizi di rete. Purtroppo, quando si tratta di relazionarsi con l’altro, sui social capita però che anche chi possiede più competenze o conoscenze si scagli contro “la capra”, “la bestia”, “l’ignorante”. Oggi, l’effetto del classico “zitto e ascolta” (analizzato tramite il PUS, Public Understanding of Science) è quello di rinforzare le convinzioni pregresse nel nostro interlocutore, risultando in una dimostrazione di forza che al massimo riconferma il nostro status di superiore e colto tra gli appartenenti del nostro circoletto, ma che non aiuta in alcun modo il confronto, il dibattito e il miglioramento delle condizioni del medium. Rispondere con il classico «torna su CoD» o altre formule standard per sminuire l’opinione altrui posiziona automaticamente chi le pronuncia dalla parte nel torto, perché crea una barriera tra chi è (teoricamente) in possesso di alcune conoscenze, e chi magari quelle conoscenze, con i giusti strumenti comunicativi, potrebbe apprenderle.
Non solo: anche se dovessimo interfacciarci con chi, a testa bassa, carica volgarmente ogni tipo di argomentazione, chiunque abbia un minimo di conoscenze di social media management vi dirà che sui social quest’attività non rappresenta uno sforzo inutile, perché non esiste solo chi partecipa all’agone, ma anche chi lo osserva. Per ogni risposta piccata e presuntuosa, magari anche comprensibile a seguito di ripetute e costanti dimostrazioni di noncuranza e testardaggine, c’è qualcuno che legge, ascolta e interpreta, valutando come pretestuose e supponenti le nostre parole, perché i toni e i modi con cui ci esprimiamo sono ben più importanti dei contenuti da veicolare.
Se tutto ciò vi sembra assurdo o ingiusto, benvenuti nel mondo reale. Non è un problema moderno, è una realtà che si lega indissolubilmente alla natura dell’essere umano, che ha generato arti come quella della retorica ben prima della carta stampata e dei social network. Capire questo processo è il primo passo necessario per chiunque voglia contribuire a un dibattito videoludico più ricco e sensato. Ancora: come ripeto da sempre, arricchire il dialogo tra i videogiocatori non può che far bene all’industria stessa, e quindi al medium. Vedere meno guerre intestine e articoli a orologeria potrebbe portare chi è esterno al mondo dell’intrattenimento digitale a fare un tentativo in più per avvicinarsi a esso, potendo osservare con più costanza gli aspetti positivi del mezzo videoludico.
Voglio precisare che questo articolo rappresenta innanzitutto un mea culpa, perché sono consapevole di essere spesso il primo a perdere le staffe nell’agone dei social, non tanto nel dibattito videoludico, ma quando osservo considerazioni sociologiche e sulla natura umana da far venire i brividi, dette e scritte con la più grande sicurezza e tranquillità. Rimane però indubbio che, così come il medico giura di curare chiunque abbia bisogno delle sue competenze, indipendentemente da ideologia, etnia o ceto sociale, così il comunicatore deve sempre impegnarsi a utilizzare le tecniche più adatte al contesto in cui si trova per trasmettere messaggi, temi, opinioni e contenuti. Per innescare un cortocircuito nell’attuale modalità di confronto e dibattitto sul videogioco, bisogna innanzitutto mettersi alla pari dell’altro, e tentare di accompagnarlo, per quanto possibile, nella scoperta del medium.